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Echi di donne

Femmine Difformi project

Un percorso di conoscenza e libertà

di Tiziana Moggi



Ricevo una telefonata, anzi no, prima un messaggio. Era più o meno metà settembre 2021.

Un WhatsApp dopo circa, direi 15 anni, più o meno.

Non avevamo quasi più avuto modo (la vita, altri impegni, un contatto assiduo nel tempo passato e poi così, diluitosi) di incontrarci, riallacciare relazione.

Il nostro essere insieme pareva appartenere ad un’epoca remota.


“Ciao cara, vorrei parlarti di un progetto. Ricordi? “Ai confini della pace” anno 2001. Allora era l’Afghanistan, oggi è ancora Afghanistan. Vorrei rimaneggiare quello spettacolo e riproporlo. Tu ci stai? Ho sentito anche altre donne, mi daranno risposta.”


Lei, Darshana, nel 2001, appena giunta in Val d’Elsa, Siena, dove proseguiva la sua ricerca e seminava la sua passione per il teatro e la spiritualità, “migrata” da Caserta a Milano negli anni ’70. Mille vite e passioni, studi teatrali con maestri del calibro di Leo De Berardinis, Ermanno Olmi, J. Grotowskji, e lavori in campo artistico, teatrale, laboratori e spettacoli con predilezione per i linguaggi delle donne.


Io, “migrante”, tra desideri, passioni e curiosità, bisognosa di dare voce al mio sentire nella ricerca attoriale, oltre alla scrittura, mi ritrovo, quasi per caso nel suo spazio teatrale, seguo tre anni della sua scuola e nascono esperienze profonde e performance teatrali con la Metodica del Teatro Transpersonale da lei ideata.

In seguito ognuna ha intrapreso percorsi diversi.


A quella sua proposta, ho pensato di dovermi dare un tempo prima di rispondere, perché so che in me l’istinto prevale, così, cerco di attivare quella razionalità, spesso è un po' deficitaria, per tentare di frenare gli entusiasmi positivi e negativi che, istantanei, avverto.


“Sì, il progetto mi piace, parliamo dell’impegno e di altro, vediamoci”

Alla fine razionalità e istinto sono stati concordi. O forse l’ultimo aveva prevalso.

Nello stesso spazio di quasi due decenni prima, mi ritrovo gioiosamente con cinque donne, alcune già compagne del vecchio percorso con Darshana.


E’ iniziata in questo modo la nuova avventura: “Ai confini della Pace - 20 anni dopo”.

Otto mesi di intenso lavoro di laboratorio, diluito tra problematiche legate alle limitazioni sanitarie per il Covid e intralci personali, ma che non ci hanno fatto demordere.

Da ottobre a maggio, incontri, scambi di pensieri, idee, elaborazioni di testi, ricerca di musiche, cinque donne in scena, una alla regia, un procedere con la sensazione che non era solo una rielaborazione di un qualcosa che era stato, ma piuttosto un creare, con altro sguardo, con scenari diversi, ma uguali, una storia che parlava non solo delle donne afghane, ma delle donne, del proprio vissuto, del mondo, mentre intanto il nuovo impensato, fulminante scenario della guerra in Ucraina dava sgomento, ma ancora più forza al nostro intento, di far parlare chi, come le donne sembrano non comparire negli scenari bellici, ma in realtà ne sono protagoniste -vittime -eroine e rappresentano la continuazione della vita.


Il 29 maggio 2022 il lavoro, ancora work in progress, per definirne la drammaturgia finale, è stato presentato a Colle di Val d’Elsa presso lo spazio Theatrikos, come prova aperta.

Di quella giornata, a seguire qualche foto, alcuni testi elaborati dalle donne, che parlano della migrazione, intesa non solo come fenomeno sociale, ma come esperienza della vita di ognuno, anche per coloro che mai hanno lasciato il luogo di nascita, ed una video clip che miscela alcuni passaggi del lavoro.

La performance teatrale attinge alle tecniche del Laboratorio Teatro Transpersonale, un percorso che Darshana definisce di frontiera tra “persona e personaggio”, laddove è il corpo che “parla” in una partitura in cui testo e azioni nascono dalla necessità dell’anima e i frammenti di parole interrompono il silenzio e la musica.




“Ai Confini della Pace”

Le donne in scena sono “Donne Guerriere che corrono”:

Natalia Ferrara

Concetta Mirabella

Tiziana Moggi

Gabriela Kaneva

Marinella Zappia

Ideazione, Drammaturgia e regia:

Darshana Patrizia Tedesco


Le parole, echi di donne


“Sono “migrata” dal corpo di mia madre, a fatica, dopo tredici ore di travaglio, verso la vita, sentendomi straniera da subito e portandomi addosso due occhi in cui tutto il mondo non riusciva a starci. Ed è così che ho sperimentato fin da piccola le tenebre e i cieli, altri cieli, oltre il velo, incontrando gli abissi del cuore umano e gli occhi del mondo imploranti verità, quella verità che neppure l’Amore riesce a svelare. Allora ho provato a cercare la natura segreta delle cose in dettagli sempre più complessi scoprendo poi che tutto è un frattale olografico che ripete sé stesso all’infinito. E dov’è allora la bellezza di questa nostra esistenza? Proprio in quei dettagli cangianti che si possono vedere estrapolati dall’oscuro e complesso insieme del cosmo, e che nel mio teatro diventano un “ flusso”, come la massa d’acqua di un fiume perennemente in fuga, non si sa da dove viene, non si sa in quale mare si espanderà. Se lo osservi ti porta pensieri, ombra, inquietudine, pace, desiderio, pianto, la gioia e la resa all’appartenere, all’incompiuto perfetto esistere del flusso, tra vita e morte, tra eternità e oblio. Così nasce la “drammaturgia dell’anima e dell’esistenza- Fiamma che arde nel Rito della Scena del Sé”.


“Mai avrei creduto, attaccata com’ero al seno di mia madre, di poter partire e lasciarmi dietro la mia terra, i gelsomini in fiore, mio fratello, i parenti, il mio mare, quel bianco, caldo, rassicurante nutrimento.

L’educazione impartita dai miei genitori, mi voleva ubbidiente, rispettosa degli altri, cauta, devota alla religione, remissiva, che studiassi o no era relativo, l’importante era che diventassi una brava ragazza e in seguito una buona moglie e madre di famiglia, mio fratello invece poteva tranquillamente continuare e concentrarsi negli studi. La mia natura mi spingeva ad essere curiosa, amante dell’arte, della musica, del ballo, spesso usavo il velo interminabile da sposa della mamma e volteggiavo danzando e cantando in giro per la casa e sul balcone, dando spettacolo fra i vicini...Il mio desiderio di cambiamento era scambiato per incoerenza e troppe volte mi sono sentita non compresa dagli altri. Io stessa brancolavo nel buio, fra il bisogno di essere capita, accettata e il desiderio di fuggire. Migrare per tante persone ha rappresentato nella storia una necessità...Per me invece è stata una scelta...Il viaggio all’interno di sé stessi è quello che ho creduto fosse, con lo scorrere degli anni, il più interessante, anche se a tratti molto doloroso.

(Natalia Nataraj Ferrara)


“Fin dal primo vagito, migriamo. Fin da quel primo migrare da dentro a fuori, dal calore al freddo, dal liquido al solido, non smettiamo mai di migrare.

Ma soprattutto non smettiamo mai di cercare nel migrare intorno al mondo o in tondo su noi stesse. Una spirale che porta sempre al centro, sempre al nucleo primordiale, sempre a quel primo “porto” da cui siamo partite.

Sento fortemente tutto questo sulla mia pelle, nel mio sangue, nel mio respiro, nei miei occhi. Dopo la lunga e travagliata nascita, il mio porto era davanti ai miei occhi, la mia casa sul mare, il vento sulla pelle variava continuamente e il respiro respirava odori lontani. Non avrei mai pensato che tutto ciò non avrebbe mai più fatto parte della mia vita. Migrai con la mia famiglia in una notte di primavera, 53 anni fa...Migrai tra fili d’erba di prati in fiore, coi delicati non ti scordar di me, col profumo selvatico dell’aglio e del finocchio. Tutto migrò: la mia pelle, i miei occhi, il mio respiro in un territorio sconosciuto, estraneo e per questo non riconoscersi divenne nemico, ostile. Migrai e non mi sono più fermata...”

(Concetta Mirabella)


“Coltivando lo Spirito invincibile di ricerca, dell’avventura e del rischio nella mia vita, ho abbandonato la mia Terra d’origine, la Bulgaria, i miei più cari affetti, mia figlia e la mia famiglia addolorata, per andare oltre...Sono migrata in questa Terra sconosciuta, lontana e oscura, per compiere il mio viaggio della Fede perduta verso la ricerca di me stessa. Non ho portato con me nulla, soltanto i valori della mia famiglia, per poi distruggerli completamente giorno dopo giorno, per trovare altro, sconfiggendo il guscio in cui mi ero sempre riparata, trasformando la mia battaglia interiore in una fonte di Resa. Sto vivendo tra i due Mondi contrastanti, tra la sicurezza abbandonata e la ribellione, tra luce e buio, tra la pace e la guerra, scegliendo di restare in mezzo e diventare un Servitore nelle dimore dell’abisso del Nulla. Dove non c’è nessuna storia, nessuna memoria, nessuna paura, né schiavitù ma solo Pura Libertà.

(Gabriela Kaneva)


“Ho preso un treno a 16 anni scappando via di casa con soli 30 mila lire addosso. Mi ha fermato la polizia ferroviaria dopo poche ore e mio padre mi riportò indietro. Ho aspettato di fare l’università per andare via dal paese natio che mi opprimeva, dove mi mancava l’aria.

Libera, secondo me finalmente, senza capire che scappare non mi sarebbe servito a ritrovare me stessa, ma a perdermi, perché per inseguire “la libertà del fare” tanto negata, perdevo di vista me stessa. Mi ritrovai migrante in una città a me sconosciuta, sola, tanto sola…”mi spensi”…la mia corsa era solo fisica, tra una fermata di metropolitana e l’altra…tanta gente attorno a me sconosciuta e tale rimaneva…malgrado già adulta cambiai carattere, mi incupii…”si spense il sole” sia fuori che dentro di me. La nostalgia del mare della mia terra, che sognavo ad occhi aperti, mi rattristiva…lottavo solo per sopravvivere…ma mi è stato utile arricchirmi di tante esperienze, gioiose o dolorose che fossero, sicuramente straordinarie, che mi hanno consentito di diventare ciò che sono.”

(Marinella Zappia)


“Il luogo in cui sono approdata nel tempo è una terra accogliente.

La osservo, la vivo, cerco di aspirare i suoi profumi, di cogliere le sfumature del suo profilo fatto di pianure, colline, vette elevanti, di un mare a volte tranquillo, tal altra turbolento e minaccioso.

Venti leggeri spesso si trasformano in turbinii di refoli sabbiosi, qualche altra in bonaccia immota.

E’ una terra cercata, il suolo su cui ho gettato queste nuove radici.

Sette paia di scarpe ho consumato, sette ponti sospesi attraversato, sette brocche di lacrime versato per raggiungere la meta che avevo sperato.

Da dove provenivo prima di questo viaggio?

Quanti paesi ho visitato e abitato?

Quanto il tempo passato nella ricerca dell’approdo?

Ascolto un sussulto del cuore, abbraccia lo sguardo la natura dintorno.

Per questo resterò qui dove ho piantato il mio seme?

La vita è un migrare nel profondo dei gorghi del cuore, per trovare l’approdo della propria esistenza.”

(Tiziana Moggi)



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